L’utilità dei busti ortopedici dopo un crollo vertebrale

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Il crollo vertebrale è una delle più frequenti complicazioni dell’osteoporosi, in cui si viene a verificare una frattura di un corpo vertebrale a causa del progressivo indebolimento osseo. Come analizzeremo più avanti nell’articolo, normalmente, le fratture lievi o non diagnosticate in tempo, vengono trattate con:

Cause e sintomi

Considerando la debolezza delle ossa, anche il minimo sforzo a carico della colonna può portare al crollo vertebrale, per cui può manifestarsi un fortissimo dolore alla colonna anche a seguito di una torsione sbagliata o di un semplice starnuto.
Il sintomo principale di un crollo vertebrale è il dolore, che può insorgere anche a seguito di uno sforzo minimo o di un trauma lieve della colonna, tanto da far preoccupare il paziente che spesso si reca in pronto soccorso per questo motivo.
Una volta superata la fase acuta, il dolore tenderà a manifestarsi in base alla postura che il paziente assume, per cui si presenterà principalmente durante la stazione eretta o stando seduti, risolvendosi a riposo.

Durata dei sintomi

Il dolore tende comunque a protrarsi anche fino a 30 – 40 giorni, momento in cui il meccanismo di riparazione della frattura produce i suoi risultati.
Il trauma della frattura può provocare, in alcuni casi, la stenosi del canale vertebrale, mostrando anche sintomi di tipo neurologico.
Gli schiacciamenti vertebrali della zona toraco-lombare, inoltre, possono portare a cifotizzazione progressiva: per questo motivo, uno dei segnali che possono far sospettare la presenza di osteoporosi e di un crollo vertebrale è la perdita di altezza, legata a frequenti e dolorosi mal di schiena.
Per quanto gli esami per individuare un crollo vertebrale siano differenti, è importante sottolineare l’importanza della diagnosi precoce di osteoporosi.
A questo proposito, l’esame principale per la diagnosi è la MOC, la Mineralometria Ossea Computerizzata, che permette di misurare il calcio nelle ossa tramite un punteggio chiamato T-score.
La diagnosi precoce, infatti, permette di impostare il percorso terapeutico più adeguato e di prestare maggiormente attenzione alla condizione, vista la fragilità aumentata delle ossa. Come abbiamo visto, le fratture lievi o non diagnosticate in tempo, vengono trattate con: antidolorifici; busto per crollo vertebrale, tutore per tronco, fisioterapia e molto riposo.
Le terapie conservative, inoltre, devono essere affiancate all’assunzione di farmaci per l’osteoporosi, per limitare eventuali fratture in futuro.
Per quanto riguarda i crolli vertebrali gravi si fa ricorso, invece, al trattamento chirurgico, con tre tecniche principali: la vertebroplastica; la cifoplastica percutanea; l’artrodesi vertebrale.
Alle terapie conservative si associano, come già detto, i trattamenti specifici per l’osteoporosi per ridurre il rischio di frattura vertebrale e aumentare la densità ossea.
A questo proposito, in base alle caratteristiche del paziente, si utilizzano farmaci: a doppia azione: agendo debolmente sia sull’assorbimento osseo, sia sull’incentivazione della formazione ossea; anabolici: che stimolano la formazione di nuovo tessuto osseo; antiriassorbitivi: che riducono il riassorbimento.

Nuove procedure chirurgiche per la cura dei cedimenti vertebrali

In caso di fratture o cedimenti vertebrali, le nuove procedure chirurgiche (cifoplastica, vertebroplastica, elastoplastica), permettono di ripristinare una forma anatomica delle vertebre fratturate il più vicina possibile a quella corretta. Si possono inoltre compensare deformazioni eccessive di origine patologica in avanti del rachide toracico (ipercifosi) o all’indietro del rachide lombare (iperlordosi), con una riduzione dei disturbi e del dolore che si rivela in molti casi rapida ed efficace. A tale scopo viene utilizzato il cemento osseo, una sostanza plastica ad indurimento rapido che viene iniettata nella vertebra fratturata, consentendo così di sopportare carichi pieni a distanza di poco tempo dall’operazione.
Tuttavia, possono verificarsi dei problemi quando i segmenti della colonna vertebrale posti in prossimità, anch’essi affetti da osteoporosi, vengono sottoposti a maggiori forze di pressione, taglio e trazione nei loro punti deboli, a causa della presenza del cemento rigido. Questa vicinanza può determinare i rischio di conseguenti fratture. Anche questo fenomeno può essere ridotto mediante l’utilizzo di ortesi. L’unità funzionale, composta da stecca dorsale, tutore per il bacino e sistema di cinturini di trazione, scarica la colonna vertebrale in modo più efficace rispetto ad un normale corsetto, garantendo una distribuzione uniforme della forza nell’area interessata. In questo modo la colonna vertebrale viene scaricata e stabilizzata in modo efficace per tutto il tempo necessario ad ottenere un miglioramento della densità ossea. Grazie all’utilizzo di una terapia combinata, sarà poi progressivamente possibile ridurre gradualmente i tempi di applicazione dell’ortesi.

Un po’ di storia della medicina ortopedica: definizioni e studi sull’osteoporosi

Le “consensus conferences” di Hong Kong del 1993 e di Amsterdam del 1996 hanno definito l’osteoporosi come una “affezione diffusa dello scheletro, caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da alterazioni microstrutturali del tessuto osseoche conduce ad un aumento della fragilità ossea e ad un accresciuto rischio di fratture”. Le fratture dell’avambraccio, delle vertebre e del collo femorale non sono più quindi da considerare come una manifestazione iniziale ma come una “complicazione” di tale patologia.
Generalmente distinguiamo, dal punto di vista eziopatogenetico, cioè delle cause che la producono, una osteoporosi “primitiva” ed una “secondaria”. L’ osteoporosi primitiva è tipica del sesso femminile, in ragione del fatto che in media le donne vivono più a lungo dei maschi e che risentono negativamente degli effetti delle gravidanze e della menopausa sul metabolismo osseo. L’osteoporosi secondaria, più caratteristica del sesso maschile, è dovuta a disordini di tipo endocrinologico, metabolico, tossico o genetico.
Nel 1983 Riggs-Melton nel volume dedicato a questa patologia hanno scritto: “è il momento dell’osteoporosi”, sottolineando come attualmente essa attiri l’attenzione di svariate figure mediche (ortopedici, fisiatri, ginecologi, internisti, endocrinologi, ecc.) e polarizzi anche l’attenzione delle donne che si trovano in menopausa o che ad essa si avvicinano. La carta stampata e la televisione dedicano all’argomento sempre maggiore spazio; l’industria farmaceutica ha grandi interessi a sensibilizzare l’utenza in questo senso, dati i costi ed i tempi protratti delle terapie mediche necessarie.
Le indagini epidemiologiche eseguite sino ad ora hanno posto in evidenza dati allarmanti. L’inglese Nordin (un Autore che si è profondamente dedicato allo studio di questa patologia) ha evidenziato come a 60 anni il 7% delle donne ha presentato almeno una frattura a carico della colonna vertebrale, del polso o del collo femorale. A 80 anni tale percentuale sale al 25% (nel 4% dei casi con fratture multiple).
Le attuali stime statunitensi sono di 240.000 fratture femorali/anno, di 170.000 fratture del polso e di 500.000 fratture vertebrali all’anno.

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